Spinto dall’intuito del percepire sottile, come un chimico seduto davanti al suo microscopio, con fare analitico osservo, analizzo e strutturo ogni pensiero. Lo seziono e lo scompongo come psicologo forense, come se ci fosse un giudice a cui riportare la diagnosi eziologica. Cerco l’origine e la fine. Cerco il cosa, il come, il perché. Traccio la strada unendo con il filo rosso tutti i punti sulla mappa mentale.

Tante volte quel pensiero non verbalizzato, rimane lì nella mia testa e non trova strada per divenire parola.
Resta silente. Cammina avanti e indietro come un padre in attesa dietro la sala parto. I suoi passi solcano il terreno in quel andare e venire, aspettando una voce che dia notizia del lieto evento. In attesa che divenga parola.

Quel pensiero si carica di ansia e mentre cerco di risolverlo, costruisco una scatola e verso della resina trasparente intorno alla piuma per osservarla in ogni sua parte. Aggiungo piccole particelle che si combinano tra di loro creando una massa dal peso specifico notevole. Il tutto diventa davvero pesante.

Finché mi accorgo che sarebbe bastato soffiare sulla piuma prima di farla diventare l’ennesimo fermacarte sulla scrivania.

Finché mi accorgo che è emotivamente illogico.