Ero stufo di galleggiare.
Sole e sale avevano arso le mie labbra per lungo tempo. Troppo.
Il viaggio sarebbe stato lungo e in parte ignoto. Le acque cristalline mi permisero di percepire sì i coralli, ma non sapevo se ci fosse stato altro nell’inconscio desiderio che altro avrei voluto trovare.
Ripassavo ogni gesto prima di quell’immersione, come fosse una sequenza programmata o una meditazione che suonava nella mia mente a voce alta. Concentrati. Rilassa ogni muscolo del corpo. Ascolta il respiro tanto da sentire il battito del cuore. Rallentane il moto percussivo per uno stato di quiete apparente. Prendi fiato. Concentrati. Rilassa… e poi in imperturbabile trepidazione mentre ancora cercavo il momento perfetto, d’istinto chiusi gli occhi, effettuai la rotazione del busto e il brusio da ovattato divenne sempre più cupo fino al silenzio. Dentro e fuori silenzio. Sommerso dalla silenziosità.
Aprii gli occhi. Tutt’intorno le alghe danzavano al mio attraversarle sfiorando il mio corpo come fossero mani pronte ad intrappolarmi. Un banco di pesci dai prismatici colori ammaliò il mio sguardo cercando di portarmi fuori rotta. Ma conoscevo bene come gestire il disincanto dalle allusive visioni. E continuai a scendere creando un cuneo con le mani per tagliare le correnti mentre le mie gambe presero vigore.
Non so se illusione o speranza, ma con un gesto inconsulto, nella consapevolezza che mi sarei tagliato la mano affondandola tra le formazioni coralline, afferrai altro. Forse stordito dall’anidride carbonica, nel sentire di essere arrivato al limite delle mie capacità, raccolsi qualcosa che non sapevo esattamente cosa fosse. Custodendo quell’altro e quelle altre emozioni risalì in fretta, accompagnato dalle bolle delle ultime tracce di ossigeno.
Uno sbuffo in superfice per riprendere coscienza.
Tra le mani, il suo cangiante perlaceo colore così lucido da riflettere il mare in alto, il cielo in basso e un nuovo me al centro.