Sono le 5 del mattino. Stamattina è più presto del solito. Mi alzo dal letto e inizia la mia routine. Caffè e sigaretta. Nessuna sveglia. Nessun impegno prima delle 9, apparentemente. E invece è per me quell’appuntamento con me stesso, immerso in un silenzio che diversamente è impossibile da trovare tra telefonate di lavoro e figlie da accudire.
Nelle prime ore del mattino mi ritrovo a camminare tra i rovi dei selvaggi pensieri, sperando di raccogliere qualche mora matura. Una di quelle che quando la schiacci tra lingua e palato, sembra sciogliersi in una dolce libido sensoriale. Ma non è sempre così. A volte rimango incastrato tra i rovi che si avvinghiano ai pantaloni come se volessero trattenerti. In quel caso meglio non agitarsi, altrimenti rischierei di ingarbugliarmi ancora di più. Lentamente come se stessi giocando a shangai, stacco i rovi uno alla volta, esco dal roveto e torno sul sentiero.
Ho provato a tagliare parte di quel rovo. Altre volte l’ho bruciato. E lui è sempre tornato. Sempre più rigoglioso. Ho imparato a conviverci. Sono consapevole che potrò graffiarmi, pungermi, restare avvinghiato ma altrettanto di ciò che può donarmi.
Oggi “u panaro arristò vacanti”. Nessuna mora raccolta.
Ma poco importa, perché ciò che conta è quell’andare al roveto.
Tornerò domani.