Sai, avrei una storia nuova da raccontare.
Ma non so se davvero voglio farlo.
Oggi la lascio vivere ai margini del tempo, come un pensiero sospeso tra il se, il ma e il forse. Per ora è solo un respiro lieve ma intenso, che si mescola al vento del mattino e al profumo di pioggia nei cortili vuoti, dove l’erba nasce in quello microscopico spazio di terra tra le balate. Talvolta sembra avvicinarsi alle mie mani mentre scrivo, sfiorando la pelle con un fremito così sottile da lasciarmi la sensazione di toccare qualcosa di fragile, vivo e quasi luminoso; altre volte, invece, quando la penna tenta di afferrarla, svanisce, dissolvendosi come la nebbia scaldata dai primi raggi del sole.
Puff!
Mi sono detto che forse è nata da un desiderio mai vissuto, o da un sogno troppo delicato per sopravvivere alla luce. Eppure continua a esistere, sospesa tra il dire e il tacere, in quel luogo invisibile e indicibile, dove le parole si preparano a nascere, come fiori segreti che attendono la notte per sbocciare, come la bella di notte che mi è cara. Quando la penso troppo, svanisce. Quando la lascio andare, torna. È capricciosa, come una fiamma che teme di bruciare e al tempo stesso di bruciarmi. E io non so ancora se raccontarla significhi darle vita o condannarla a dissolversi.
So che chi la sentirà, anche solo una volta, non la dimenticherà più. Rimarrà addosso una dolce mancanza, come se qualcosa dentro di sé avesse iniziato a respirare a un ritmo diverso. E quando chiuderà gli occhi, potrà forse sentire il suo sussurro leggero tra le foglie, tra i muri di una stanza vuota, tra l’eco di un ricordo che non appartiene ancora a nessuno.
E forse questo, in fondo, è il mio vero modo di raccontare.
Non con la voce.
Non con le parole pronunciate.
Ma con il silenzio che la storia lascia dietro di sé.
Sospesa. Fragile. Viva.
Pronta a sfiorare chi sa attendere.

