Il biglietto ancora tra le mani. Finemente piegato seguendo le linee parallele dei bordi. Sembrava quasi un origami, ma la semplicità della forma non riconducibile a nessun animale o profilo noto mi fece comprendere che era solo un comune bigliettino.
Mi chiesi del perché custodire un oggetto così semplice e apparentemente inutile se non fosse per ciò che avrei svelato da lì a poco e del perché la combinazione per accedere a quello spazio fosse la parola “nubivago”.
Iniziò il viaggio di connessioni e intrecci che potessero risolvere l’enigma. D’istinto attraversiamo il conosciuto logico, esploriamo il possibile ipotetico e sfioriamo l’impossibile per dare una spiegazione a ciò che non comprendiamo. Non accettiamo di buon grado l’illogico e creiamo costrutti, a volte anche irreali o surreali, per dare una definizione a ciò che osserviamo.
La carta erosa dal tempo mostrava segni di usura come se fosse stato più volte aperto, richiuso e riposto nuovamente laddove trovato, come volerlo lasciare ai posteri o a un prossimo lettore.
Le mie dita divennero delicatamente sensibili perché non rompessero quel pezzetto di carta nell’aprirlo.
Aprii la prima piega trasformando un quadrato in rettangolo.
L’emozione della sorpresa aumentò i battiti e la pressione. L’aspettativa di una verità rivelata.
Aprii la seconda piega ricreando un nuovo quadrato.
All’interno del biglietto, con mio grande stupore, non vi era nulla di scritto.
Forse era tutto da scrivere.
Cercai una penna e scrissi…