«Ciao, disturbo?»
La voce non veniva da fuori, ma da un angolo polveroso della mia testa. Guardai l’orologio sul comodino con occhi e pensieri ancora appiccicati al sonno. Segnava le tre e ventitré minuti. Stessa ora della notte prima, e forse anche di quella che sarebbe arrivata. Sì, perché certe visite seguono orari puntuali come treni fantasma.
«Ti devo parlare.»
«Lo stai già facendo.» risposi un po’ seccato
«Perdonami… ma possiamo rimandare a fra qualche ora?»
Chiesi, sperando che la risposta fosse un sì.
«Emh, no!»
«Emh… sì, direi!» con un tono quasi acido.
«Quindi posso?»
E lì capii che i pensieri notturni non chiedono mai davvero il permesso. Si siedono sul bordo del letto, accavallano le gambe, e iniziano a raccontare storie che non sanno aspettare l’alba.
«Bene,» disse il Pensiero, «ascolta. Sai quando ti sembra di vivere due volte la stessa scena? E ti chiedi se sia un déjà-vu o una prova generale?»
Annuii nel buio con un micromovimento di rassegnazione.
«Ecco… oggi ho trovato un filo. Sottile, invisibile quasi. Parte dal tuo petto e va chissà dove. Forse verso un’altra versione di te, in un’altra stanza, che guarda un altro orologio alle tre e ventitré.»
Rimasi in silenzio. Non per mancanza di curiosità, ma perché la mia mente era come una finestra appannata dal freddo estivo. Volevo vedere e annotare nel taccuino di quei sogni che regolarmente dimenticavo al risveglio, ma tutto era sfocato.
«Il punto,» continuò, «è che domani questo filo sarà un po’ più corto. Ogni notte lo tiro un poco. E quando arriverò a te, ti sveglierai del tutto. Ma non nel senso in cui credi.»
Si fermò. Mi fermai. Rimasi silente in attesa che il tutto si svelasse o forse che nulla svelasse per non raggiungere la piena consapevolezza di ciò che intuii volesse intendere.
«Ora dormi,» disse infine
«Ma tieni un posto libero nei sogni. Verrò a sedermi lì.»
Il sonno passò.
Il sogno svanì.
Mi alzai e mi misi a stirare.