Vivere in quello stato di luce riflessa, nel tempo, compromise la mia anima.
Non era tristezza, o almeno, non pienamente. Piuttosto una malinconica forma di silenziosa esistenza, fatta di ascolto e adattamento. Come luna. Non di luce propria, ma brillante solo quando il sole concedeva e offriva il suo sguardo.
Adolescenziale esistenza negli interstizi degli spazi altrui. Nei momenti in cui occupavo uno spazio seppur effimero, nei vuoti delle loro giornate, nei riflessi e nelle emozioni altrui.
C’era una grazia in tutto questo. La quiete bellezza di essere luce che non accieca e presenza che non invade. Ma con il tempo, rotazione dopo rotazione, iniziai a dimenticare di avere un volto, perdendomi nel cielo altrui in quell’orbitare attorno a volontà che non erano mie. Si confuse l’adattamento con l’identità.
Poi, l’eclissi.
Imprevisto istante in cui qualcosa si è risvegliato. Riconoscimento e consapevolezza della possibilità che la luna potrà posizionarsi davanti il sole e il mondo intorno si fermerà a guardarla. Il mistero che la avvolge nella sua noncurante oscurità, interposta tra la vera luce e la sua vista.
Coraggiosa.
Così ho scelto di mettermi al centro. Non per oscurare gli altri, ma per ritrovare me stesso, smettendo di girare attorno alla mia comfort zone e ho cominciato a chiedermi dove stavo andando davvero. Ho fatto silenzio, non per adattarmi, ma per ascoltare la mia voce. Ho brillato, anche se timidamente, con luce mia. E mentre mi sovrappongo al sole, anche solo per un istante, so che non sto togliendo nulla al mondo. Sto solo rivendicando il mio posto nel cielo.
Io, che ero luna.
Io, che sono luna.