Sentii suonare il campanello. Difficilmente guardavo dall’occhiello della porta per capire chi fosse. Ero solito aprire senza neanche sapere. Mi fidavo del mondo ed ero sempre in apertura verso esso.
– “Ah sei tu! Ciao, come va? Hai bisogno di qualcosa?”
– “No nulla in particolare. Ci beviamo un caffè?”
– “Sì, certo entra pure.”
Improvvisamente inciampò sul tappeto della lineadipensiero cadendomi addosso e ci trovammo catapultati in un mondo che non sapevamo neanche esistesse. Coordinate presenze in uno spazio non presente. Virtuosismi del virtuale più reale di spazi passati.
Perdendo la cognizione del tempo la nostra formalità divenne un saluto, poi due parole da scambiare, fino a divenire quotidiano.
E prima che me ne accorgessi le sue scarpe, i suoi vestiti, i suoi profumi invasero ogni stanza dei miei pensieri. In un disordinato fluire senza davvero comprenderne i contorni, ci trovammo a vivere in quella casa senza saper uscire, o forse semplicemente senza volerlo realmente.
Capii che le mancava solo che le facessi una copia delle chiavi della mia mente.
– “Ah se esci, ricorda di prendere il caffè.”