Resto seduto sulla panchina del parco ad imbeccare i pettirossi, mentre l’aria cambia e si fa nuova. Tiro via le molliche dal pezzo di pane, una alla volta.
Qualcuno resta lì, in attesa della prossima mollica. Altri si posano, prendono e scappano via. Altri ancora le prendono al volo, senza neanche fermarsi.
Una folata di vento scuote le foglie secche. Una ancora più intensa si incanala tra gli alberi, si spezza e si riconcilia, come correnti che si scontrano e si riuniscono, causando il volo delle foglie e sollevandole come pensieri leggeri e distratti. Il cielo si fa più intenso, non grigio, solo più opaco e profondo. Assume una profondità, come se volesse dire qualcosa senza saper trovare le parole giuste. Rimane silente.
Penso. Osservo.
“Cadessi in catessi”.
E in effetti ci cado, a modo mio.
Nonostante non ne comprenda appieno il senso, lo indosso come un vecchio cappotto trovato al mercato dell’usato. Non è perfetto, è leggermente sbiadito e andrà stirato, ma mi ci sento dentro. Mi ci riconosco, anche se non so perché.
Un pettirosso mi guarda.
Un attimo solo. Poi salta più vicino. Non con impeto, ma con la grazia diffidente di chi conosce la fame e la diffidenza in egual misura. Non prende la mollica. Mi osserva. E io lo guardo, come si guarda uno che ha capito qualcosa prima di te.
Forse siamo entrambi in catessi, ora.
O forse è solo una tregua, un respiro tra due frasi della giornata. Un modo per restare fermi, senza sentirsi immobili.
Spezzo un’altra mollica.
Ma stavolta, invece di lasciarla cadere, la tengo in mano. Il pettirosso non si muove.
Resto così, sospeso, tra la mollica e il battito d’ali. Tra la quiete e qualcosa che forse, adesso, sta cambiando. Mi soffermo a guardare la bianca mollica, ricoperta da un lato da un velo di crosta marrone. È solo pane, eppure è stato gesto, attesa, incontro. Forse anche una mollica può essere una forma d’amore.
Cip!
L’ora è tarda.
È quella di ritorno a casa.