C’è una storia che non è una storia né un racconto. È solo un dire che viaggia come un tappo di birra trovato per terra a cui dai un calcio per vederlo saltellare. Per poi raggiungerlo nel tuo cammino. E calciarlo ancora. Cosa ci narrerà non lo sappiamo ancora, ma dopo aver smarrito quel tappo rimaniamo seduti sulla banchina di legno vicino al lago ad ascoltare cosa avrà da dirci o da mostrarci.
Si, perché quelle che non sono né storie né racconti ci portano un’immagine che piano piano si svela come la carpa rossa che sale in superficie per mostrare la sua livrea cangiante. La vedi danzare nel suono della sua pinna dorsale che sfiorando la superficie crea onde concentriche.
Le nuvole si condensano e baciano la superficie dell’acqua celando le sponde opposte. Non vi è più confine, né quel “terra, terra, terra!” che presagiva lo sbarco da lì a non molto. Il silenzio tutt’intorno era di una immane bellezza. Lo vidi giocare con il soffio di ottobre che passava tra i rami di quercia alle mie spalle. Una scia danzante e luminosa, volubile e voluttuosa, disegnava archi e curve come stormi di uccelli perfettamente sincronizzati. Non uno scatto né un angolo, ma solo curva linearità.
Da quello spazio intangibile mi lascio avvolgere prestando attenzione a ciò che mi avrebbe raccontato da lì a poco. Perché sapevo che mi avrebbe raccontato una storia che non è né una storia né un racconto ma solo una lineadipensiero senza un senso apparente.
Ah! ecco dov’è finito il tappo.
È ora di andare.