Era un semplice bocciolo qualche tempo fa.
Fermo e immobile nel campo, con le sue guance di petali corposi e vellutati e il viso rivolto al cielo, affondava le radici nella terra umida di fine inverno. La sua spina dorsale perse le spine e divenne gambo liscio e vigoroso in sospensione tra terra e nuvole. Raccoglieva la linfa da ogni goccia di rugiada caduta sul terreno che amava guardare scivolare dalle piccole foglie che lo circondavano.
Tutte le mattine, appena sveglio, apriva la sua mente a corolla perché potesse afferrare ogni grammo di sole, di aria e di vento. Era il suo rito silenzioso, il modo in cui esisteva e sentiva di esistere nel mondo. Ogni petalo della sua coscienza si schiudeva lentamente, assorbendo il mondo senza fretta, lasciando che la luce si depositasse dentro di lui come polline dorato.
Era ormai radicato solidamente alla terra, così come i suoi pensieri, eppure sapeva e sentiva di appartenere anche al cielo, a quell’aria che lo accarezzava e a quel vento che lo cullava nel suo dondolarsi armonico. Ma c’erano giorni in cui quelle radici fonte di vita e di immobilità, divenivano peso e non rimaneva che guardare l’immensità del cielo così vasto e irraggiungibile.
Una farfalla si posò su di lui e le chiese “perché resti sempre fermo?”
“Perché il sole e la terra mi nutrono. Così posso sentire del mondo” rispose il fiore.
“Sentire il mondo non è lo stesso che farne parte. Io viaggio in volo portando con me il profumo dei luoghi che ho visitato. Puoi farlo anche tu.”
“Come?” chiese il fiore.
“Lascia che il vento ti attraversi, lascia che ogni singolo respiro del mondo entri dentro te e possa trasformare il colore dei tuoi petali, lascia che il tuo polline possa viaggiare in lungo e in largo. Lascia che il sole possa riempire i tuoi giorni fino a farti dimenticare il confine tra terra e cielo. Viaggiare non significa spostarsi!”
La mattina seguente così fece il fiore.
La mattina seguente non si limitò ad afferrare il mondo ma lo lasciò entrare fino in fondo.
E fu vita.