Della mia infanzia, pochi ricordi sono rimasti presenti. Ma uno di questo ha la forza dell’indelebile. Tatuato, marchiato a fuoco, scolpito e inciso per non esser più dimenticato.
Il giorno di Carnevale. Terza elementare. Vestiti in maschera.
Mi madre mi lasciò a scuola come tutte le mattine. Ma quel giorno era speciale. Mi regalò delle stelle filanti.
Andammo tutti in cortile. Fu il momento di poterle usare ma mi accorsi che erano scivolate dalla tasca e andarono perse nonostante non fosse un oggetto di piccole dimensioni.
Ciò che è apparentemente futile nascose un concetto che ancora oggi pervade la mia vita in tanti momenti. La perdita.
Quel giorno i miei occhi erano pieni di lacrime ancora non scese sul viso. E sono ancora lì. Pronte a liberarsi ma trattenute per orgoglio o per incapacità.
Perdiamo chi ci sta vicino, perdiamo noi stessi e a volte perdiamo anche l’illusione.
Si perde per disattenzione, perché è la vita o semplicemente per scelta tra le possibilità, dove comunque vada perderai qualcosa.
Negli anni tante stelle filanti perse, scivolate dalla tasca. Ognuna con la sua incapacità di elaborazione.
Finché non compresi che non era il perdere a dover esser elaborato ma il dolore che da esso ne deriva.