“Mi piacerebbe ascoltare anche il suono di quest’altro profumo.”
Lo dissi quasi in un sussurro, come se il verbo ascoltare potesse davvero accordarsi con le molecole di quell’essenza ancora sospesa tra il vetro e l’aria.
Lei sorrise appena, un sorriso che sapeva di segreto, e senza rompere il filo del nostro sguardo, allungò le dita verso il bicchiere metallico colmo di strisce bianche, leggere come ali in attesa.
Ne estrasse una e, voltandosi con la grazia di un gesto ormai consueto, afferrò un nuovo flacone. Un altro nome misterioso inciso sul vetro, un’altra alchimia pronta a manifestarsi.
Il psssh delicato della nebulizzazione fu come il battito d’apertura di un pezzo sinfonico, e poi, il silenzio. Quel silenzio in cui si ascoltano davvero le cose. Mi porse la mouillette impregnando l’aria tra noi di una fragranza sconosciuta, eppure familiare. Non tanto per ciò che conteneva, le note di testa, di cuore, di fondo… ma per ciò che evocava.
Lei non guardava la striscia. Guardava me. E io, che pure tendevo le narici per inseguire accordi e sfumature, ero più intento a seguire la curva dei suoi occhi a mandorla, del colore caldo delle nocciole appena raccolte.
Uno sguardo trasparente, invadente nella sua chiarezza. Uno sguardo che non si limitava a vedermi. Mi attraversava. Lucido, preciso, come una goccia d’ambra sul punto di scivolare ma ancora trattenuta.
“Mi piacerebbe sentire anche questo,” dissi ancora, ma fu come se avessi detto:
Resta qui ancora un istante.
Lasciami ascoltare le tue mani mentre danzano.
Fammi respirare i silenzi che lasci tra un gesto e l’altro.
Regalami lo spazio dove possa annusare il tempo.
Le sue dita affusolate, contornate da unghie rosa tenue, si muovevano come creature acquatiche, tracciando sentieri invisibili nell’aria densa di essenze. E io seguivo quei percorsi come si segue una
Nota di tiglio, immersiva come la sua voce.
Nota di vetiver, nel suo armonico avvolgente risveglio.
Nota di tè, intriso nella sensualità della vaniglia.
E così, tra accordi olfattivi e sillabe non dette, ascoltavo il profumo.
Ma, più ancora, ascoltavo lei.
Ne colsi l’essenza.
Ne feci essenza persistente della memoria