Mentre il tramonto mi regalava gli ultimi attimi di luce calda, decisi di correre lungo la scogliera che portava al faro. Ogni salto sul prossimo masso era una ricerca di equilibrio. Mantenendo le braccia aperte per farne bilanciere, cercavo nel mio vacillare di non cadere.
La torcia che portavo tra le mani faceva brillare le pietre aguzze bagnate dal mare.
Un percorso tortuoso e contornato da un dirupo si ergeva davanti a me. Gli scogli lasciarono il passo al sentiero coperto di corteccia di pino. Odore di resina e di salsedine sulle mie labbra. Una serpentina di pensieri si snodava intorno alla circolarità conica della collina. La rotazione della luce del faro e la poca ossigenazione cerebrale dovuta al fiato sempre più corto mi portarono a uno stato di quasi ipnosi mentre lasciavo andare i miei passi.
Sentivo il mio respiro echeggiare all’interno del mio corpo.
La meta era prossima nel vedere la prossima metà.
L’andamento rallentò. La mente rallentò. Era il caso che mi fermassi per capire. E rimasi a guardare quanti passi sui miei piedi, quanta strada nel mio vagare, quanti voli nel mio sognare.
Il faro?
Ce la farò!