Mi vedi?
Nel giardino dimenticato dal tempo, nascosto tra rovine e silenzi, ho vissuto lunghi anni. Il mio mondo era fatto di pietre muschiose, rami contorti e vecchie piante che sembravano custodire segreti sussurrati dal vento. Non c’erano predatori, né compagni: solo io, le mie emozioni cromatiche e il cielo. I miei colori erano prismatici, in un’armonica continuità visiva. Vestivo di qualunque, ma non di qualunquismo. Non celavo la mia pelle: la mostravo, a volte, con il giallo fluo, in attesa di essere visto. Senza timore.
Ma un giorno il volo pindarico dell’aquila cambiò direzione. La vidi scendere, sfiorando i rami più alti, toccando la mia pelle rugosa. Da allora, tutto divenne più complesso. Cambiai colore, non per scelta ma per necessità. Sopravvivo: è ciò che so fare meglio. Mi nascondo. Non ricordo più quale sia il mio vero colore. Quando il mondo mi osserva, mi dissolvo in camaleontiche visioni. Divento corteccia d’albero, roccia erosa, foglia caduta. Ogni giorno cambio pelle, e ogni volta mi chiedo: chi ero, prima di trasformarmi?
Ho passato anni così, adattandomi. Credendo che essere invisibile fosse l’unico modo per restare vivo. E forse lo era. Allora.
Ma poi ho incontrato lui. Il gelsomino.
Era lì da sempre, ma io non lo avevo mai davvero visto. Confuso tra il muro e il cielo, il suo arbusto divenne riparo. Lui, non si annulla. La sua mutazione racconta la stagione che passa. E lì, avvolto dai suoi petali bianchi e dal suo odore dolce e malinconico, qualcosa è cambiato. Non sapevo più chi ero. Dentro di me, una voce ha sussurrato: “Non sei stanco di sparire?”
Il vento suonava tra le foglie, pettinandole con grazia. Il silenzio tra un soffio e l’altro fece il resto. Scolpì la mia più grande paura, più grande dell’essere visto dall’aquila: non essere.
E se adattarmi mi aveva salvato la vita, mi aveva anche fatto perdere qualcosa. Da quel giorno ho cominciato a restare del colore che volevo vivere. A restare su me stesso, imparando che si può cambiare senza scomparire.
Forse adattarsi non è rinunciare.
Forse è solo imparare a respirare insieme al mondo, senza smettere di essere parte di sé.