Come sto? Mi sento sereno nel mio caos.
Sembrava un paradosso o un enigma insoluto, ma era la pura realtà, e forse era l’unica risposta possibile alla solita, seppur non banale, domanda “come stai?”.
C’è un punto piccolissimo, impercettibile e fragile, in cui l’ordine e il disordine smettono di essere opposti e diventano parte della stessa trama. È lì che mi trovo. Nel mezzo di giornate che cambiano forma, di pensieri che si sovrappongono come fogli sparsi sul pavimento, e di emozioni che si accendono senza preavviso, come luci in una stanza che credevo buia.
Eppure, in questo intreccio confuso, respiro.
Che forma abbia l’aria oggi non lo so davvero. Ma ne prendo un pezzo e cerco di vederne sempre il lato maturo, abbastanza succoso da essere buono da mangiare.
Forse ho smesso di pretendere che tutto debba combaciare, che ogni passo debba seguire una direzione chiara, che ogni parola debba spiegarmi a fondo, che i pezzi che ci sono sul tavolo debbano dare una forma conosciuta. Meglio creare qualcosa di nuovo ad ogni alba e tramonto. Ho iniziato a concedermi il lusso di non sapere, di ascoltare il rumore del mondo senza doverlo decifrare per forza. Un lavoro illogico per chi di logica vive. Ho accettato che il caos non è sempre una minaccia. A volte è un grembo, un movimento, un vento che pettina e un’acqua che asciuga.
È come se dentro di me fosse cambiata la prospettiva.
Non cerco più la pace come una stanza in cui nulla si muove, ma come un luogo in cui posso guardare e guadare il disordine senza sentirmi in pericolo. La serenità, ora, è la consapevolezza che posso restare, anche quando tutto vibra. Anche quando sono in bilico.
Così, se mi chiedi come sto, ti rispondo che sto imparando.
Saltello da un’emozione ad un’altra. Sto imparando a restare negli incastri impossibili, a respirare anche lì, a fidarmi dei passi che faccio anche quando non sono lineari, a riconoscere il valore di ciò che trova spazio nell’armonica bellezza.
Sto, semplicemente.
Sereno, nel mio caos.
Ed è un bel caos.

