Un volto che scompare tra le mani.
In attesa che ricompaia.
Un gioco delle parti.
Bubu settete!
Ma qualcosa è cambiato. Non sono più un bambino e non c’è un adulto a nascondersi dietro le mani per riapparire. A giocare con me, ora, è la vita stessa, compagna imprevedibile, a volte severa, altre ironica, complessa, ma capace di sorprendermi quando meno me lo aspetto.
Per molto tempo le mani sono rimaste chiuse. Chiuse ai giorni, alle occasioni, persino ai gesti più semplici. Le dita serrate, come a trattenere un segreto che non voleva svelarsi. Sembrava non potessero più aprirsi, come se oltre ci fosse qualcosa da cui difendersi.
Attesi. A lungo. Ho sperato che dall’esterno accadesse qualcosa, che qualcuno spezzasse quella morsa. Ho atteso finché l’attesa stessa si è consumata dentro di me, lasciandomi stanco, quasi rassegnato.
Mi addormentai. Mi risvegliai.
Fu allora, nel silenzio della resa, che cominciai a guardare con occhi diversi ciò che avevo sempre avuto davanti.
Le mani. Sipario e artefice di quel gioco. Ho seguito le curve delle nocche, pieghe sottili come mappe misteriose. Ho notato la pelle, non più liscia come un tempo, ma segnata dal passaggio degli anni. Le dita affusolate, le unghie curate: strumenti delicati e forti, capaci di accogliere e lasciare, costruire e distruggere, stringere e accarezzare. In quel momento capii che non erano solo mani. Erano finestre, chiavi per serrature invisibili, inviti a creare e vivere.
Fu allora che la vita, con un sorriso inatteso, tornò davanti a me.
“Bubu settete!”
Il gioco ricominciava.
Sorpreso e commosso, compresi che nulla era davvero finito. Non era un gioco dissolto, ma trasformato in un movimento sottile, invisibile agli occhi impazienti.
E poi nuovamente chiuse.
Non più attesa sospesa, ma ascolto. Scorgere il prodigio nelle incrinature del quotidiano, in quello spazio di congiunzione, in quella piccola fessura. Poi le mani iniziarono ad aprirsi, non più chiuse a difesa, ma pronte a custodire e a lasciare andare, come porte socchiuse sull’infinito.
Nasce un nuovo sorriso.
“Bubu settete!”
E ancora uno.