C’è un senso delle cose che non ha un senso.
E io sono.
Paradigmi, paradossi, astrazioni e surrealismi sembrano dare vita a qualcosa d’inconcepibile. Eppure sono lì, davanti a te, con la loro forma, il loro colore, il loro profumo.
I paradigmi si sfaldano come carta bagnata. Ma non tutto è perduto. Puoi farne nuova carta, inserendovi fiori secchi o semi di chi o di chia.
I paradossi non sono più errori di logica, ma aperture. Ti sorridono, complici, come bambini che sanno giocare solo quando le regole non servono a nulla. Dove il controverso non ha un verso né un vezzo è solo per mostrarti che può non essere.
L’astrazione non è fuga, ma eco. Prende corpo. Il pensiero si fa tatto, olfatto, e disfatto rimane intatto, nella fragile umiltà del suono che emana. Sai, e ne conosci l’effimero potere dell’istante e dell’istinto. E rimbalzi come pietra sul lago.
Il surrealismo non è sogno, ma materia. Forme senza spiegazione, colori che nessun occhio ha mai davvero descritto, profumi che risvegliano memorie mai vissute. Nessun confine. Vive al di là del “sii reale”, ma non ha corona né scettro.
E tu, al centro di questo spazio indecifrabile, non più spettatore, ma presenza. Non interprete, ma nota. Non domanda, ma esistenza pura.
Ti guarda con occhi che non esistono, ma che vedi.
Ti parla con parole che non capisci, ma comprendi.
Ti tocca nel punto esatto in cui non sapevi di essere vivo.
E tu?
Non interpreti. Non decidi. Non spieghi.
Tu sei ascolto. Senza titolo. Senza perché. Senza direzione.
E, nel cuore stesso di quel disordine pieno di bellezza, ti riconosci non come soluzione di continuità, ma come presenza costante.
C’è un senso delle cose che non ha un senso.
Sono.
Silente voce.