Che sapore ha l’odore dell’erba appena tagliata?
Ha il sapore del ricordo!
C’era una volta un pezzo di terra dedicato ai frutti e agli ortaggi. Un piccolo regno creato con silenziosa e minuziosa cura. Mani ruvide, deformate dal tempo e dal lavoro, ne erano padrone. Le sue nocche sporgenti e le dita rinsecchite raccontavano ogni singola fatica. Tutto lo spazio era riempito non da parole, ma da gesti. Mio nonno.
Tra le fila intoccabili di pomodori e zucchine dalle foglie giganti, c’era un angolo che non produceva nulla. Solo erba di un verde smeraldo, viva e fitta come il tappeto della nonna, ma su cui potevamo camminare. Brillava al sole nelle prime ore del mattino. Lì crescevano solo gioco e fantasia, mia e di mio fratello.
Al centro, l’albero di nespolo. Imponente e liscio, il suo tronco. Apparentemente senza appigli, se non fosse per una piccola biforcazione bassa dei rami, che ne permetteva la scoperta. Il primo incrociava le mani per averne salda la presa e, poggiando la schiena sul tronco, permetteva all’altro di salire. Una volta su, tendeva una mano come una corda, per aiutare anche l’altro a salire.
A sei anni bastano due metri per sentirsi invincibili.
Si saliva in alto per spiare il mondo, per fingere che il prato fosse un oceano e il cielo, nostro.
Sotto di noi, il mare verde. L’erba tagliata aveva un odore pungente, un sapore strano che si infilava nella gola come il ricordo dei giorni buoni. Quei giorni in cui correvamo a piedi scalzi, con le caviglie graffiate e il cuore leggero. Quando il sole sembrava non voler tramontare mai.
Il nonno ci guardava da lontano, seduto sulla sedia di legno all’ombra del fico. Sorrideva poco, ma bastava vederlo rimanere lì, ogni pomeriggio, a osservare. Quella era la sua maniera di dire: “Vi voglio bene.”
Oggi non c’è più il nespolo. Non c’è più l’erba. Non c’è più il terreno.
Ma c’è il ricordo di tutto ciò che era.
Color smeraldo, vivo e fitto.