Eppure tutto non è tutto.
Ci sono giorni in cui tutto scorre come pallina di acciaio su acciaio. Senza attrito che possa modulare il suo cammino. Tutto segue un ritmo ormai conosciuto. I gesti della quotidianità si ripetono con estrema naturalezza. Alzi il nuovo giorno aprendo le finestre, sistemi il letto con la medesima sequenza di movimenti, il caffè che si fredda sul tavolo. Tutte strade che percorri senza neanche rifletterci. Con estremo automatismo il tuo corpo si muove mentre la mente è ancora dormiente.
Ma poi accade qualcosa.
E non serve che sia grande o evidente. Basta un minuscolo dettaglio perché tutto cambi prospettiva. Le finestra che dimentichi di aprire, un nuovo ordine dei cuscini o un caffè troppo caldo. Un minuscola e apparentemente insignificante incrinatura della superficie della realtà fa sì che tutto non è tutto, o meglio che tutto non era ciò che credevi fosse tutto.
La logica incontrollabile degli eventi trasforma la stanza dei pensieri e ti ritrovi nudo sotto la pioggia o prendere fuoco dentro un piumino in quel tempo mutevole di marzo. E tutto sembra apparentemente illogico. Qualcosa sembra non tornare, come se fosse troppo sfuggente per esser visualizzata e ne rimane solo la percezione. In quella quotidianità tutto appare distante, leggermente fuori fase, surreale. Un senso di spaesamento sottile, che non ha nome né origine, ma che lascia addosso la certezza che qualcosa, da qualche parte, si sia spostato.
E non resta che spostarti.