Arriva la sera.
Il divano raccoglie e accoglie come meta intermedia tra la cucina e la camera da letto. Per una buona mezz’ora diventa luogo d’incontro tra il giorno e la notte.
Tutt’intorno diviene soffuso, il brusio della giornata si spegne poco a poco scandito dal calare delle ultime saracinesche. Il corpo si abbandona, le spalle si sciolgono, le riflessioni trovano spazio per distendersi, come fili allentati di una trama che si smorza sotto la luce del lampione che attraversa le veneziane. Le sagome del dì si ammorbidiscono.
C’è il silenzio in casa. Si può udire il motore del frigo che ronza piano, il ticchettio lontano dell’orologio, qualche voce attutita dalla strada e il suono ovattato della casa che sembra stiracchiarsi. Il giorno lascia gli ultimi pensieri sospesi nell’aria come nuvole che aspettano di diradarsi, sperando che la notte li raccolga con mani leggere sussurrando che c’è tempo per sciogliere ogni nodo, per lasciare andare. In questa parentesi di tempo indefinito, mi fermo lì, tra la voglia di restare e la necessità di distendermi.
Fermo tra quelle nuvole, la tazza del mio solito tè serale, ormai tiepida, attende dimenticata. Gli occhi vagano tra le ombre sulle pareti, tracciando forme che mutano con il respiro delle tende che accolgono la prima aria di una quasi primavera.
“Com’è andata la tua giornata? Cosa ti ha portato di bello? Ti va di raccontarmi?”
“Mmm! è stata una giornata difficile. Ma sono certo che domani andrà meglio.”
Chiedo e rispondo a me stesso.
È ora di chiudere questa giornata.
Off.