Hai presente quel triciclo a pedali interamente di metallo?
Dopo circa quarant’anni ho scoperto chiamarsi “grillo” ma per me era solo la “macchinina del sogno” di una rara magnifica mattina passata alla Villa Bellini.
Non appena il rumore del freno a mano segnava l’arrivo come fosse la pistola a razzi per un corridore, ci catapultavamo dalla macchina. In fibrillazione i passi miei e di mio fratello più grande si affrettavano sotto il continuo ripetere di mio padre «Aspettate. Non correte.» Io ero certamente più pacato nell’euforia, mentre mio fratello saltellava e si muoveva avanti e indietro per non allontanarsi troppo ma al contempo per spingersi ad andare più veloci.
Da lì a poco avremmo incontrato quell’uomo che per una moneta avrebbe detto la solita frase “scigghiti chiddu chi buliti” indicando i tricicli e le macchinine a pedali ferme in attesa che qualcuno le noleggiasse. Lui sceglieva quello che secondo il suo istinto sarebbe stato più veloce, io semplicemente quello che a parer mio era più bello. Spingendo sui pedali cigolanti attraversavamo quegli spazi che allora sembravano infiniti. Sotto lo sguardo attento di mio padre, sfrecciavamo, o almeno mio fratello perché io ero molto lento, passando tra i vicoletti di siepi, attraverso la piazza immensa, fino a quella struttura di acciaio e vetro che aveva un non so ché di misterioso.
Il giubbino di mio padre, chiaro come la sabbia del mare, faceva da sfondo alla custodia marrone della sua macchina fotografica pronta ad immortalare un ricordo felice della nostra vita in un nuovo fotogramma. Era alquanto difficile fermarci per lasciarci fotografare. Sapevamo bene che quel giro che avremmo voluto fosse eterno, avrebbe avuto un tempo limitato.
Si, ho chiaro in mente quel triciclo a pedali interamente di metallo.
Dopo circa quarant’anni ne ricordo esattamente la magia.
Come fosse oggi.