Su e giù. Giù e su.
E poi nuovamente su e giù spinto e sospinto dalle gambe che muovendosi in modo asincrono alimentano il moto perpetuo, evitando il rallentamento per inerzia.
Ricordo che era uno dei miei giochi preferiti da bambino. Sicuramente comune a molti. Lo scivolo era indubbiamente più adrenalinico ma la paura dell’altezza lo rendeva proibitivo visto che ancora oggi ho difficoltà a salire su una scala per cambiare una lampadina. Restavo lì a fissare gli altri che con coraggio salivano fin lassù per poi scendere con gran velocità.
L’altalena era a me più consona.
Su quella spiaggia la memoria ricostruisce la pazienza di aspettare il mio turno, incollato e disteso sulla barra diagonale che la sosteneva, mentre osservavo con minuziosa attenzione ogni particolare della catena, del sedile e del cigolio che questi producevano ad ogni oscillazione. È la stessa pazienza di oggi nell’osservare il mondo intorno a me. Riesco ad attende che la ruota giri, che il posto si liberi, che si crei spazio per poter sognare nuovamente.
Ed ecco. Tocca a me.
A volte davvero mi sembra di vivere sopra un’altalena toccando il suono degli uccelli in volo e planando sfiorando la sabbia che brucia. Salendo e scendendo oltre l’orizzonte. Vivendo tra il volere e il volare. E quando il vento degli eventi si fa contrario mi ricordo di imprimere ancora più forza allo slancio delle mie gambe perché quel moto non si arresti.
Su e giù. Giù e su.
È ora di scendere e provare lo scivolo.