Apparentemente è tutto nero ma non tutto è come sembra.
La cornice in finto barocco comprata al mercato dell’usato e ridipinta in stile shabby chic era così spessa da creare un’intercapedine sufficiente da starci comodo. Ci volle uno di quei tasselli ad uncino per tenerlo su. Fu tentato l’approccio con un chiodo ma fu miseramente fallito candendo sul divano sottostante. Fortunatamente restò sano. Fortunatamente rimasi indenne.
I giorni passavano lenti ad osservare sempre lo stesso angolo della casa. Sempre la medesima prospettiva di circa centoquaranta gradi e mezzo. Oltre non potevo vedere. Non potevo sporgermi al di là della cornice. Il sottile strato di alluminio con il tempo si andava disgregando lasciando scorgere parti di muro ma non me che stavo li senza occuparne l’intero spazio.
Prediligevo le prime ore del mattino, quando il sole che proveniva dalla finestra difronte scaldava la lastra di vetro e mi permetteva di stare al caldo nelle giornate fredde, evitando si condensasse rendendo la vista offuscata. E in estate le tende assopivano lo stesso sole che diversamente l’avrebbe resa incandescente, rendendo l’aria satura.
Il ticchettio dell’orologio sulla parete ad angolo mi teneva compagnia quando in casa ero solo. Ogni tanto metteva dei fiori che ondeggiavano al vento. Durante la giornata, quand’era affaccendata, mi passava davanti un’infinità di volte. Ed io la seguivo con lo sguardo finché non usciva dal mio campo visivo. Solo poche erano le occasioni in cui ci si soffermava a me dinnanzi, solitamente prima di uscire per verificare che tutto fosse in ordine o per riflettere un momento di felicità con un sorriso che mi illudevo coscientemente che fosse rivolto a me.
E quella lastra di vetro seppur sia servo delle brame è al contempo padrone del mio spazio. E non mi permette di uscire per poterla sfiorare.
E resto lì a sognare mentre rispecchia il mio sogno.
Nascosto dietro lo specchio.