Ero davvero giovane quando mi si regalò quel vaso di terracotta e quella bustina che al tatto sembrò contenere un solo seme.
Fu un dono inaspettato. Fosse stato bello almeno e invece non era neanche chissà quale magnificenza. Anzi tutt’altro. Il bordo era già eroso dal sole mostrandone i pori e dall’acqua che ne lasciò un alone verdastro tutt’intorno. E non era neppure tutt’intero. Qua e là era sbeccato e un’incrinatura non prometteva nulla di buono. Certo che forse avrei potuto rinunciare, ma in cuor mio sapevo che avrebbe portato qualcosa di bello. Perché qualcosa di bello può sempre accadere nella vita, anche nei momenti bui. L’ho sempre pensato allora come oggi.
Ringraziai e mi incamminai orgogliosamente alla ricerca della terra, non prima di aver messo un giro di scotch a giro sul vaso per paura potesse cedere quella crepa. Piantai quel seme senza sapere a che profondità andasse messo. Non conoscevo manco quali accortezze avere… quanta acqua… quale esposizione. Era tutto un dubbio risolvibile solo con l’istinto e il buon senso perché tutto potesse avere un senso buono.
Spuntò la piantina e mi trovai costretto a portare sempre con me quel vaso per prendermene cura mentre i miei coetanei ancora potevano correre e giocare spensierati. Nel giro di pochissimo tempo, quella pianta divenne così grande da dover rinunciare al vaso e mi vidi costretto a trapiantarla. Non potei più portarla con me ma potevo andare quando volevo.
Negli anni non fu sempre rigogliosa. Anche lei ha visto momenti più o meno belli. Grandi foglie verdi e appassimenti improvvisi. La cura incostante ne era ovviamente la causa. Ma ci stava che potessi addormentarmi per qualche settimana dopo una sbornia di emozioni.
Ripercorrendo la mia vita rivedo quel vaso, divenuta terra.
Ripercorrendo la sua vita vedo i quadrifogli che mi regala il seme della coscienza.