Tutt’intorno c’è quiete.
Ottobre. Piove. L’aria è insolitamente fresca, ma non fredda. Una temperatura che permette di tenere le finestre ancora aperte nonostante il solstizio di autunno sia già passato da un mese. Insieme alla brezza arriva il consueto odore di pioggia che bagna l’asfalto dopo giorni e risale verso l’alto e ritrovandoti immerso in quell’umida consistenza quasi a sentirne le gocce avvolgenti.
Gli unici rumori che sento sono il ticchettio delle mie dita sulla tastiera mentre scrivo, di macchine che passano senza sosta sull’asfalto bagnato, voci dei passanti che si salutano nel loro incrociarsi e poi… il suono dei miei pensieri che sembra quasi materializzarsi.
Lascio accompagnarmi dalla musica per escludermi ulteriormente dal contesto e trovare una quiete ancor più catartica in quella solitudine in cui a volte non riesco a stare, o forse non ci vorrei stare.
Il cigolio del coperchio del giradischi dà inizio ad un teatro di emozioni come se accendesse la luce sul palco. Sfoglio tra le mie scelte che spesso mi hanno accompagnato nelle scelte di vita. Sottile diviene il pensiero in quel vuoto senza comando sulla mia mano che poggia su Wim Mertens. Odore di cartone stampato e plastica. Sfilo il vinile dalla sua custodia con cura e cerco il punto metallico per introdurre il foro posto al centro del disco. Il sibilo leggero ma udibile della cinghia mette in rotazione il nero ipnotico rendendo ormai illeggibile le tracce stampate. Concentro la vista socchiudendo gli occhi e cercando di vedere con attenzione il solco della prima traccia. Un click sgancia la puntina dal suo alloggio e l’accompagno dolcemente come fosse una farfalla su un fiore. La lascio scivolare dalle dita perché si possa adagiare. Un fruscio seguito dalle prime note e poi… il suono della mia voce che sembra quasi presenza nel raccontare prima di digitare ciò che sto scrivendo.
Mi parlo. Mi ascolto. Ed è magico.
Lascio tutto fuori e ritorno in me dove tutt’intorno c’è quiete.