I miei pensieri sono soliti camminare lentamente. Ma ci sono notti in cui iniziano a muoversi rintoccando le ore del campanile del paese. Inciampano e cercando di non toccare il suolo cambiano passo in una corsa scomposta. Finché sembrano attratti al centro di una spirale che prende velocità fino a divenire vortice. Frastornati, frammentati e così dinamici da credere che siano loro stessi a creare quel vortice.
Cerco di uscirne. Allargo le braccia come fossero ali per portarle fuori da fulcro di rotazione ma la forza centripeta mi spinge sempre più verso il centro e mi accartoccia come una pallina di carta stagnola. E continuo a ruotare in un moto contrario e asincrono alle mie volontà. Inarco la schiena per avere maggiore portanza e cerco nuove vie per la fuga da me stesso. Verso l’alto visto che uscirne lateralmente sembra impossibile.
I pezzi di carta sulla scrivania vengono attratti e conglobati in quel vortice e divengono lame taglienti. Le mie stesse parole appuntante con il solito inchiostro rigorosamente nero si distorcono sotto l’effetto del vento. Forse avrei dovuto smussare i bordi prima di lasciarli lì incustoditi, in disordine e disorientati come il mio domani.
Prendo un volo. Prendo il volo.
Vorrei scendere e toccare nuovamente il suolo. Camminare. Si, semplicemente camminare anche senza sapere dove andare, ma camminare. La strada verrà da sé. E se strada non sarà allora sarà mare. E imparerò a nuotare. E se non sarà mare, sarà cielo e vento. E tornerò nel vortice.
Poi.
Finalmente la quiete.
Il passo si armonizza sincronizzando braccia e gambe. Il cuore batte a mille a l’ora. Rallento. La strada per raggiungere me stesso sarà lunga e solo seguendo la stella del vero ne avrò pienamente coscienza.