Viaggiare in treno mi permetteva lunghi spostamenti senza sprecare quel tempo trascorso.
La macchina era solo concentrazione alla guida, l’aereo un incessante sali scendi, la nave un moto continuo dello stomaco.
Per lunghi periodi il mio posto preferito fu in quei sedili apribili, quasi nascosti. Ve ne erano nei corridoi e nei vani di collegamento tra i vagoni ed erano quest’ultimi la mia scelta. Ricordo esattamente il cigolio nell’aprire quel sedile a molla per cui se non facevi attenzione ti incastravi le mani. In quel luogo gli odori di ferro e olio dei vari ingranaggi rendeva l’atmosfera pesante se non fosse per l’apertura delle porte alle fermate che permetteva un soffio di aria fresca. “Stutum tu tum Stutum tu tum Stutum tu tum”…il metronomo del treno era amplificato in quello spazio.
In quel luogo osservavo i passanti con le loro valigie e le loro vite.
Nei loro volti una storia da raccontare. Ma il luogo di passaggio non ne permetteva l’ascolto ma solo l’immaginazione. Il tempo era effimero e fugace. Ero affascinato nell’osservare il molteplice e vario dell’essere umano, cercando di scrutare i loro occhi per una nuova storia.
Ma un giorno decisi che era giunta l’ora di una nuova visione. Non volevo più solo immaginare. Mi diressi verso le cabine. La porta scorrevole e le tendine chiuse ne nascondevano l’interno. Non sapevi chi o cosa avresti trovato, ma una combinazione di 6 posti aveva una buona dose di probabilità di trovare una storia interessante.
Il tempo mutò aspetto.
Il viaggio divenne ascolto.