Ho deciso di fare l’orto… o meglio un orto.
Porto con me la voglia e la determinazione seguendo il pensiero contorto secondo il quale zappare, arare, piantare, innaffiare, mi avrebbero portato conforto. Ed ecco il mio orto storto dove da inconsapevole e ignorante le piante hanno intrapreso un bistorto percorso di crescita.
Mi rapporto a esso come fosse un porto di speranza e rimango spesso a osservarlo come una tortora osserva le stranezze del mondo che la circonda.
A volte non lo sopporto, altre non mi sopporto. Ma a entrambi cerco di dare supporto e apro il portone dei sogni e dei segni che possano indurmi a pensare che andrà tutto bene, che i frutti (anche se sono solo ortaggi) arriveranno anche quando tutto sembra un mortorio o sembro assorto nei miei pensieri. Apporto qualche modifica qua e là tagliando le foglie basse. Asporto le erbacce ed esorto lumache e lombrichi a non mangiarmi tutto ma possono limitarsi solo a qualche foglia.
Ogni mattina, al mio risveglio, porto con me un po’ di sano ottimismo nel desiderio che non sia tutto morto. Ogni mattina mi comporto come se non avessi aspettative ma obtorto collo la mia mente me le impone. E attendo come immobile ortolano in un quadro Arcimboldiano.
Ops… non mi ero accorto che il primo peperone rosso è già pronto per l’asporto.